Affidare la vitalità del segno al molteplice fluire delle
immagini è il desiderio che Simonetta Ferrante coltiva nelle varie
fasi di lavoro che questa mostra raccoglie come sintesi del suo
sperimentalismo pittorico.
Le occasioni di ricerca si intersecano con l’attività preponderante
nel campo della grafica pubblicitaria evidenziando un’autonomia
espressiva che sviluppa impulsi d’invenzione legati alle differenti
tecniche adottate.
Il percorso delle opere indica una continuità d'intenti tra periodi
creativi distanti ma non dissimili, un filo di lettura che dai
dipinti e disegni della fine degli anni Cinquanta giunge fino alle
ricerche odierne, con visibili rimandi tra i messaggi iniziali e le
attuali manipolazioni delle materie.
Liberi da parametri di tipo accademico sono sia gli studi grafici
sul movimento del corpo, sia le ricerche dedicate a puri ritmi
costruttivi, polarità espressive dove figuralità e astrazione si
animano a vicenda.
La compresenza istintiva di impeti grafici e di bagliori cromatici è
sorretta dalla medesima tensione a cogliere le movenze essenziali
del segno, gli elementi ponderabili del colore e il loro reciproco
convertirsi in forma immediata, come visione portata al massimo
valore dinamico.
Un gruppo di olii degli anni Novanta esprime le turbolenze interiori
del paesaggio, spazi intessuti di messaggi inquieti, stati d’animo
attraversati da tumulti di segni sospesi tra atmosfere d’ombra e
brividi di luce.
A ispirare le diverse stagioni della pittura sono sia gli ascolti
musicali sia gli orizzonti della poesia (da Mozart a Bach, da Borges
a Meireles, da Merini a Oldani e Candiani), tramiti per sconfinare
nei suoni del colore e nei labirinti della scrittura, estensioni
immaginative del perimetro visivo.
Sempre più -in questi anni di ritrovato fervore creativo- Ferrante
sente il fascino delle tecniche e il desiderio di assecondare le
fonti sconosciute del visibile, dissolvenze e disgregazioni,
stratificazioni e frantumazioni, eventi che sorprendono l’occhio
nell’attimo in cui il segno si mostra e svanisce, partecipa ai ritmi
costruttivi e si disperde in attimi evanescenti.
Nella sequenza di monotipi “Rubando a Bach” (1995) la passione
musicale si trasforma nell’oscillazione di vapori luminosi e
vibrazioni interiori, tracce imprevedibili e graffi convulsi che la
mano incide fissando ritmi veloci nel vortice dei suoni cromatici.
Nella serie “Lasciti della mano” (1998) la grafia impulsiva del
gesto dialoga con le cangianze della luce lasciando che le linee si
aggroviglino intorno al vuoto, talvolta segnati da segmenti aperti e
spezzati, in un gioco contrapposto di gestualità informale e di
astrazione costruttiva.
Nel ciclo “Mar absoluto. da Cecilia Meireles” (1999-2001) la
musicalità della visione poetica viene trascritta nelle fluide
sensazioni dell’acqua, il moto perpetuo delle vibrazioni coinvolge
ogni elemento visivo e sonoro durante il trascorrere pulsante della
scrittura pittorica.
Nelle trasparenze monocrome delle gouaches i segni si compenetrano
con la luce, si aggregano in modo imprevedibile, mentre
nell’atmosfera misteriosa delle incisioni è suggerita la magia
fluente delle onde, la vastità sconfinata e visionaria del mare
assoluto. Azione e meditazione sono per Ferrante momenti
compresenti, modi simultanei per purificare le forme naturalistiche
attraverso il valore delle loro qualità intrinseche.
L’inchiostro evoca le energie del profondo come essenze del
visibile, la sua seduzione calligrafica coglie tutto l’essere in un
solo gesto, il ritmo immediato del segno domina la carta dialogando
con l’infinito.
Nella percezione del vuoto sta la radice di ogni visione possibile,
l’artista ne avverte il silenzio, la risonanza impercettibile, la
trasparenza che si dilata nelle sfumature dei pigmenti, in ogni
respiro di leggerezza.
Del resto, per chi fa pittura è difficile separarsi dalla sapienza
istintiva delle mani che si addentrano nello spazio seguendo le
mutazioni interne del sentire pittorico. Il legame tra il pensiero e
il gesto è un valore sperimentato con naturale sensibilità, senza
affibbiare significati concettuali alla logica spontanea del
dipingere, fulcro di ogni aspirazione a trascendere la soglia del
percorso stabilito. Non a caso Ferrante sollecita le dinamiche
avvolgenti che si sviluppano dalla superficie all’oggetto, dalla
carta al collage, dalla scrittura al libro, con molteplici modi di
fondere differenti qualità fisiche nella stessa opera.
Nei cosiddetti libri d’artista confluiscono pensieri poetici e
sensazioni materiche, ritagli di carte e reti metalliche, frammenti
liberi di fluttuare da una pagina all’altra, grovigli di lettura che
rimandano agli intrecci calligrafici dei monotipi e delle incisioni.
Tra i dettagli visivi e le sorprese verbali insorgono gorghi sonori,
segni e colori modulati come suoni che lambiscono l’epidermide della
carta, manipolata, pressata, increspata, disorientata da lacerti in
bilico tra scritture di varia origine.
Il ciclo di collages "Messaggi dalla notte" (2007-2008) è un
continuo palpitare di sensazioni tattili, carte a mano e cartine
artificiali, fotocopie di incisioni e frammenti originali, preziosi
reperti di un viaggio all’interno dei materiali d’affezione. Si
tratta di un laboratorio sinestetico dove l’artista si diverte a
modificare ciò che ha già fatto, a sentire in modo nuovo le fibre
della carta attraverso la memoria combinatoria di forme ancora
possibili.
In questo gioco di ritmi fluidi Ferrante si lascia andare allo
stupore dei gesti elementari: strappare, ritagliare, incollare,
aggiungere, sottrarre, accartocciare, comprimere, osservando a
distanza i fili del pensiero che s’inerpicano in ogni spiraglio
messo a disposizione.
Fino al punto in cui il gioco associativo dei diversi elementi non
ha più bisogno d’altro, è diventato luogo permanente di emozioni,
pensiero attivo in attesa altre avventure, altri palpiti della
superficie, altri sogni da fissare con scioltezza sul perimetro
mutevole della carta.