Claudio Cerritelli

Sull’arte di Simonetta Ferrante

Affidare la vitalità del segno al molteplice fluire delle immagini è il desiderio che Simonetta Ferrante coltiva nelle varie fasi di lavoro che questa mostra raccoglie come sintesi del suo sperimentalismo pittorico.
Le occasioni di ricerca si intersecano con l’attività preponderante nel campo della grafica pubblicitaria evidenziando un’autonomia espressiva che sviluppa impulsi d’invenzione legati alle differenti tecniche adottate.
Il percorso delle opere indica una continuità d'intenti tra periodi creativi distanti ma non dissimili, un filo di lettura che dai dipinti e disegni della fine degli anni Cinquanta giunge fino alle ricerche odierne, con visibili rimandi tra i messaggi iniziali e le attuali manipolazioni delle materie.
Liberi da parametri di tipo accademico sono sia gli studi grafici sul movimento del corpo, sia le ricerche dedicate a puri ritmi costruttivi, polarità espressive dove figuralità e astrazione si animano a vicenda.
La compresenza istintiva di impeti grafici e di bagliori cromatici è sorretta dalla medesima tensione a cogliere le movenze essenziali del segno, gli elementi ponderabili del colore e il loro reciproco convertirsi in forma immediata, come visione portata al massimo valore dinamico.
Un gruppo di olii degli anni Novanta esprime le turbolenze interiori del paesaggio, spazi intessuti di messaggi inquieti, stati d’animo attraversati da tumulti di segni sospesi tra atmosfere d’ombra e brividi di luce.
A ispirare le diverse stagioni della pittura sono sia gli ascolti musicali sia gli orizzonti della poesia (da Mozart a Bach, da Borges a Meireles, da Merini a Oldani e Candiani), tramiti per sconfinare nei suoni del colore e nei labirinti della scrittura, estensioni immaginative del perimetro visivo.
Sempre più -in questi anni di ritrovato fervore creativo- Ferrante sente il fascino delle tecniche e il desiderio di assecondare le fonti sconosciute del visibile, dissolvenze e disgregazioni, stratificazioni e frantumazioni, eventi che sorprendono l’occhio nell’attimo in cui il segno si mostra e svanisce, partecipa ai ritmi costruttivi e si disperde in attimi evanescenti.
Nella sequenza di monotipi “Rubando a Bach” (1995) la passione musicale si trasforma nell’oscillazione di vapori luminosi e vibrazioni interiori, tracce imprevedibili e graffi convulsi che la mano incide fissando ritmi veloci nel vortice dei suoni cromatici.
Nella serie “Lasciti della mano” (1998) la grafia impulsiva del gesto dialoga con le cangianze della luce lasciando che le linee si aggroviglino intorno al vuoto, talvolta segnati da segmenti aperti e spezzati, in un gioco contrapposto di gestualità informale e di astrazione costruttiva.
Nel ciclo “Mar absoluto. da Cecilia Meireles” (1999-2001) la musicalità della visione poetica viene trascritta nelle fluide sensazioni dell’acqua, il moto perpetuo delle vibrazioni coinvolge ogni elemento visivo e sonoro durante il trascorrere pulsante della scrittura pittorica.
Nelle trasparenze monocrome delle gouaches i segni si compenetrano con la luce, si aggregano in modo imprevedibile, mentre nell’atmosfera misteriosa delle incisioni è suggerita la magia fluente delle onde, la vastità sconfinata e visionaria del mare assoluto. Azione e meditazione sono per Ferrante momenti compresenti, modi simultanei per purificare le forme naturalistiche attraverso il valore delle loro qualità intrinseche.
L’inchiostro evoca le energie del profondo come essenze del visibile, la sua seduzione calligrafica coglie tutto l’essere in un solo gesto, il ritmo immediato del segno domina la carta dialogando con l’infinito.
Nella percezione del vuoto sta la radice di ogni visione possibile, l’artista ne avverte il silenzio, la risonanza impercettibile, la trasparenza che si dilata nelle sfumature dei pigmenti, in ogni respiro di leggerezza.
Del resto, per chi fa pittura è difficile separarsi dalla sapienza istintiva delle mani che si addentrano nello spazio seguendo le mutazioni interne del sentire pittorico. Il legame tra il pensiero e il gesto è un valore sperimentato con naturale sensibilità, senza affibbiare significati concettuali alla logica spontanea del dipingere, fulcro di ogni aspirazione a trascendere la soglia del percorso stabilito. Non a caso Ferrante sollecita le dinamiche avvolgenti che si sviluppano dalla superficie all’oggetto, dalla carta al collage, dalla scrittura al libro, con molteplici modi di fondere differenti qualità fisiche nella stessa opera.
Nei cosiddetti libri d’artista confluiscono pensieri poetici e sensazioni materiche, ritagli di carte e reti metalliche, frammenti liberi di fluttuare da una pagina all’altra, grovigli di lettura che rimandano agli intrecci calligrafici dei monotipi e delle incisioni. Tra i dettagli visivi e le sorprese verbali insorgono gorghi sonori, segni e colori modulati come suoni che lambiscono l’epidermide della carta, manipolata, pressata, increspata, disorientata da lacerti in bilico tra scritture di varia origine.
Il ciclo di collages "Messaggi dalla notte" (2007-2008) è un continuo palpitare di sensazioni tattili, carte a mano e cartine artificiali, fotocopie di incisioni e frammenti originali, preziosi reperti di un viaggio all’interno dei materiali d’affezione. Si tratta di un laboratorio sinestetico dove l’artista si diverte a modificare ciò che ha già fatto, a sentire in modo nuovo le fibre della carta attraverso la memoria combinatoria di forme ancora possibili.
In questo gioco di ritmi fluidi Ferrante si lascia andare allo stupore dei gesti elementari: strappare, ritagliare, incollare, aggiungere, sottrarre, accartocciare, comprimere, osservando a distanza i fili del pensiero che s’inerpicano in ogni spiraglio messo a disposizione.
Fino al punto in cui il gioco associativo dei diversi elementi non ha più bisogno d’altro, è diventato luogo permanente di emozioni, pensiero attivo in attesa altre avventure, altri palpiti della superficie, altri sogni da fissare con scioltezza sul perimetro mutevole della carta.