Angela Madesani

Impermanente... impermanenza

La nostra è un’era globalizzata e globalizzante in cui il consumismo e lo spreco imperversano. Tutto ci sfugge velocemente dalle mani. Ci viene imposto di cambiare continuamente, di essere al passo con i tempi, di aggiornarci alle diverse situazioni. Mai una società ha prodotto tanti rifiuti come la nostra, le discariche, lo smaltimento sono un dramma del presente.
Simonetta Ferrante riutilizza gli scarti dei suoi lavori per creare nuove opere. Scarti che diventano parti digerite del già fatto, del già eseguito. Memoria della sua stessa ricerca. Nei suoi lavori è la leggerezza, la naturalezza dell’impermanenza dell’esperienza delle cose.
In occasione della mostra saranno esposte oltre ai collages su tela anche delle lunghe strisce proprio come quelle che si trovano all’interno dei templi giapponesi. Sopra di esse sono dei segni calligrafici, che nulla hanno a che fare con la scrittura orientale, e parti delle poesie di Livia Chandra Candiani, sua amica spirituale nel percorso meditativo scelto da Simonetta..
Poesie tratte dalla sua recente raccolta “Bevendo il tè con i morti”, che presenta un’immagine profonda e serena della naturale conclusione dell’esistenza.

     Nulla di macabro, di terribile, di angosciante.
     «Azzurra
     è la notte
     dopo il buio del corpo
     per la morta
     che sognava l’aperto» [1].

Le strisce poetiche di Simonetta sono su materiali precari. Nessuna tensione all’eternità. Molte sono fotocopie. Vi è la consapevolezza della cancellazione, della sparizione. In Cina per i morti si bruciano delle carte. In Giappone si appendono agli alberi piccoli fogli con i desideri, quasi a sottolinearne l’inconsistenza, la precarietà.
In tutto questo, come già detto, è la memoria del suo percorso, della sua trentennale professione di grafica, della sua breve, ma intensa esperienza didattica. Ma soprattutto è qui la memoria della sua formazione inglese, alla fine degli anni Cinquanta, alla Central School for Arts and Crafts, ai corsi di pittura e disegno con Cecil Collins, dove impara a utilizzare i materiali con estrema libertà mentale. Non vi è l’aspirazione alla perfezione. Importante per lei, diplomata in pianoforte al Conservatorio, è anche la musica, il suono e il ritmo, ai quali, spesso, si rifà per la stesura dei suoi segni.
La scrittura è un esercizio fisico, è un modo per lasciarsi andare, per muoversi liberamente nello spazio. Non vi è una mira, una meta precisa.
A Simonetta piace l’imprevisto. Le cose devono uscire da sole, senza forzatura alcuna. Aggredire non serve, rincorrere spasmodicamente neppure.
La sua è una semina paziente a cui guarda, appollaiata su un ramo in attesa dei frutti, conscia della caducità e della transitorietà dell’esistenza.
Mi piace, ancora una volta, citare Livia Candiani per chiudere queste mie brevi note:

     «Celebrano l’abbondanza
     le ciliegie sui rami
     le ciliegie putrefatte tornate
     a bussare al suolo» [2].



[1] L. Candiani, op.cit., 2007, p. 31
[2] L. Candiani, op.cit., 2007, p. 63